
La Sirenetta: Disney vs Andersen – storia e studio del personaggio
Ciao a tutti e bentrovati,
Questo è un giorno da segnare col pennarello rosso sul calendario: inizieremo il viaggio all’interno delle menti dei nostri personaggi preferiti per riuscire ad interpretare al meglio i brani a cui danno vita, raggiungendo così una qualità artistica sempre maggiore.
(Prima di iniziare, ci tengo a precisare che questo articolo è destinato a coloro i quali desiderano cantare i brani di questo musical, ma anche agli amanti del mondo Disney in generale e si presuppone una conoscenza preliminare della trama: si tratteranno aspetti specifici dell’analisi del personaggio e altri aspetti complessivi).
Oggi ci immergeremo negli abissi della mente della Sirenetta, ci faremo cullare dalle onde dei suoi pensieri e seguiremo le correnti dei suoi perchè, cercando di riscattare la figura di una principessa che è spesso sottovalutata.

Sappiamo bene che il classico Disney del 1989 trae ispirazione dalla fiaba de “La Sirenetta”, scritta nel 1837 da Hans Christian Andersen, ma quali sono le differenze sostanziali tra la sirenetta dai capelli rossi che tutti conosciamo col nome di Ariel e la sua antenata fiabesca?
(A fine articolo potrete trovare il link con la favola originale di H.C.Andersen)
Iniziamo dalle rispettive culle:
Da un lato Andersen, scrittore danese del XIX secolo, famoso per le sue fiabe come “La Piccola Fiammiferaia” o “La Regina delle Nevi” (vi dice qualcosa?) o “Il Brutto Anatroccolo”, segnato da profonde ferite in età infantile e con una spiccata sensibilità verso il mondo fiabesco e una forte tendenza religiosa, dall’altro, un colosso dell’industria d’animazione, in un momento di grave crisi e con grandi progetti di rinascita.
Prima di cominciare, piccola parentesi sulla situazione Disney al momento della creazione de “La Sirenetta”:
E’ il 1984.
Dopo la morte di Walt Disney, nel 1966, l’azienda subisce un forte declino e una crisi creativa che dura da quasi 20 anni.
Per risollevare le sorti della compagnia, i creatori decidono di sperimentare un rinnovamento completo dei propri lungometraggi e, per la prima volta, pensano ad una fusione tra l’animazione tradizionale e il musical in stile Broadway.
Il mix tra una trama di grande spessore, emozionanti musiche, rivoluzionarie tecniche d’animazione e nuove costanti narrative risulta vincente.
Jeffrey Katzenberg, capo sezione cinematografica Disney decide, quindi, di dare un nome a questa nuova primavera economica: il Rinascimento Disney.
E le costanti narrative? Le conosciamo tutti: un (o meglio, una) giovane protagonista, possibilmente orfano, vive una situazione emotiva e sentimentale straziante. Le sue avventure lo condurranno ad un lieto fine (o quasi), ma non è solo. Egli è, infatti, accompagnato da un classico aiutante, spesso sotto forma animale, parlante o meno, o oggetto animato.
Ma ciò che amo di più del Rinascimento Disney è il regalo di Alan Menken. Conoscete Alan Menken e Howard Ashman? Sono rispettivamente il compositore e il paroliere della pluripremiata colonna sonora de “La Sirenetta”.
A mio modesto parere, le colonne sonore d’animazione stanno ai rispettivi lungometraggi come il tramonto sta alla giornata: senza di esse non ci sarebbe poesia.
(Ho raccolto queste informazioni dalla prima puntata del podcast “Ho ucciso io Mufasa”, di Mario Petillo. Fateci un giro, è una bomba).
Ma adesso concentriamoci sullo studio della nostra Sirenetta e sulle principali differenze con la fonte originale, per poter interpretarle al meglio il suo personaggio.

La fiaba si apre con una colorata descrizione del mondo subacqueo: pesci colorati alla stregua di uccellini, rigogliosa vegetazione purpurea e sontuosi palazzi di corallo e d’ambra.
Tra queste meraviglie vive la famiglia reale.
Una famiglia di sei sorelle, un padre vedovo, e una nobile e orgogliosa nonna.
L’ultima di queste sorelle, la nostra protagonista, viene definita da Andersen “Una bambina tranquilla e pensierosa”. Incappiamo così nella prima grande differenza tra la fiaba e il lungometraggio, la sirenetta fiabesca è schiva e pacata, quella Disneyana gioca ad Acchiappa la Talpa con uno squalo, dimentica del concerto a palazzo, mettendo a repentaglio la vita del suo amico.
Queste sono, però, due facce della stessa medaglia: l’adolescenza.
Ecco una prima indicazione sulle nostre future interpretazioni: la voce non potrà mai essere camuffata, né artificialmente ingrossata o appesantita, ma, al contrario, sarà leggera e spontanea.
- La musica
La componente musicale ha un’importanza viscerale nella fiaba, ma ancor più nel musical. Nella prima, verrà rispettata la caratteristica mitologica, secondo la quale la sirena possiede una voce tanto bella e suadente da ammaliare persino gli uomini più saldi come Ulisse e viene utilizzata come baratto con la strega del mare. Nel secondo, invece, c’è un utilizzo più funzionale della musica: il compositore di corte Sebastian sfrutta il mezzo musicale prima per convincere la principessa a rimanere negli abissi, poi per creare l’atmosfera propiziatoria per un bacio romantico. Il canto è, infine, il segno distintivo della stessa Ariel durante il salvataggio del principe.
- L’ossessione
E’ qui, a mio parere, la chiave del riscatto di questo personaggio molto spesso sottovalutato.
Entrambe le sirenette, a modo loro, sono amanti del mondo terrestre.
Nella fiaba di Andersen vige una legge: a quindici anni, le principesse hanno il permesso di emergere sulla terra, a proprio rischio e pericolo, e osservare la vita umana.

La Sirenetta letteraria è talmente incuriosita dal mondo emerso che addobba la sua aiuola personale con una statua di marmo raffigurante un umano (ti ricorda qualcosa?).
“Non c’era per lei gioia più grande che sentir parlare del mondo degli uomini sopra di loro”.
Andersen
Ella era colpita da ogni particolare raccontatole dalla vecchia nonna, soprattutto dal profumo, totalmente assente in acqua.
Nel lungometraggio, invece, anche questa blanda conciliazione tra i due mondi è fortemente proibita, acuendo ancor di più il senso inimicizia tra i due popoli, di pericolo e di terrore nei riguardi dei comportamenti degli uomini, i distruttori per eccellenza.
Ma la nostra piccola Ariel è letteralmente ossessionata dal mondo “lassù”.
Prima ancora di incontrare il principe Eric, trova un luogo segreto e sicuro dove poter pazientemente collezionare tutti gli utensili umani e informarsi minuziosamente sui nomi e gli utilizzi di ogni oggetto.
Il mondo umano non è solo un interesse, ma è il suo più grande sogno ancora prima di conoscere il principe. Ma non solo: è il sogno proprio di un’adolescente, il che lo rende ancora più profondo, radicato e sofferto.
In sintesi:
“Ma un giorno anch’io, se mai potrò, esplorerò la riva lassù”
Questo verso ci rivela un desidero che probabilmente avrebbe realizzato anche senza conoscere Eric.
Allora mi viene da pensare che la conoscenza del principe sia solo una grande propulsione di una macchina già in movimento.
- L’anima
Se ci sono elementi che la Disney elimina di netto sono quelli troppo macabri o troppo trascendentali.
Qui parliamo dei secondi.
Nel mondo di Andersen, alle sirene manca qualcosa che gli umani invece possiedono: parliamo di un’anima.
La piccola e timida sirena si interroga sul perchè di quella che per lei è una gravissima mancanza e inizia a desiderare di colmare tale differenza, ma, come le spiega la nobile nonna, le sirene possono avere un’anima solo se si ama un umano e se questo amore viene ricambiato e suggellato in matrimonio.
Ecco che il principe non diventa solo un desiderio di amore, ma anche un mezzo per possedere un’anima eterna.
- La sofferenza fisica
“Le Sirene non hanno lacrime, e per questo soffrono molto di più”
La nobile nonna
Altra tematica quasi onnipresente durante la seconda fase della storia, quella terrestre, è la sofferenza fisica, che, anche qui, non compare nella favola disneyana.
L’aspetto macabro si rivela dall’affermazione della nonna “Bisogna soffrire per essere belli”, esclamata mentre conficcava delle ostriche nella coda della nipote, alla trasformazione della coda in gambe, fino alla deambulazione sulla terra.
La strega del mare, al contrario dell’Ursula del lungometraggio, quasi si oppone a questa trasformazione, parlandole di tutte le sofferenze fisiche a cui andrà incontro: per iniziare, differentemente dalla mutazione soft del film, la sirenetta sentirà la sua coda segarsi in due e le sembrerà di camminare su lame affilate ad ogni passo successivo, tutto ciò aggiunto, ovviamente, alla perdita della voce.
La sofferenza, sia fisica che emotiva, è vista da Andersen come il sacrificio che dobbiamo compiere per avere in cambio una ricompensa.
Più è grande la ricompensa e più profondo deve essere il sacrificio: se aspiriamo ad un premio così grande come l’anima dobbiamo sopportare enormi sofferenze.
Questi due estremi sono stati nettamente troncati dalla Disney, la storia è stata ridotta di spessore, accorciata sia a destra che a sinistra, resa più pratica e più accessibile ad un pubblico molto giovane.
In questo modo, Ariel è stata resa più simile a noi spettatori: dalla sirena disposta a far sanguinare i suoi piedi in nome dell’amore, della terra e di un’anima, a una ragazzina ossessionata dal mondo emerso, che, a fronte di un litigio col padre, baratta “esclusivamente” la sua voce per coronare i propri sogni.
Entrambe risolute, avventurose e ingenue, ma la disneyana è impulsiva, entusiasta, appassionata, a tratti egoista (mette a repentaglio tutto il regno di suo padre come garanzia di baratto), la seconda è più riflessiva, con connotati molto più adulti e forse più distanti da noi e dal mondo moderno rispetto alla prima.
- Il principe
… Lasciamo perdere.
Dietro a due occhi azzurri e una gran croce di spalle, ci ritroviamo con un ragazzo che si accontenta pur di soddisfare la necessità regale del matrimonio.
In entrambe le versioni, infatti, il principe si innamora della prima ragazza che vede aprendo gli occhi dopo il naufragio, non di colei che realmente lo salva.
(Piccola parentesi, da notate l’inversione di genere della donna che fisicamente salva un uomo).
Nella formula disneyana, la voce di Ariel si imprime, come una dolce medicina, nella testa di Eric, dando vita alla scena più bella di tutto il film.
E sappiamo che si imprime così bene, che il giovane principe rimarrà innamorato della salvatrice anche quando si troverà davanti la splendida ma muta ragazza dai capelli rossi.
Il principe ama una ragazza differente e finisce per accontentarsi di Ariel, anche grazie al suo servitore, che gli consiglia molto chiaramente di scegliere una ragazza reale piuttosto che un sogno.
La scelta, esclusivamente disneyana, di inserire un elemento di disturbo come Vanessa, che annulli totalmente la volontà di Eric, serve probabilmente a scagionare il principe dalle accuse precedenti.
Ma Vanessa e l’incantesimo sono così necessari? Senza di essi probabilmente Eric non l’avrebbe sposata comunque.
Principe della favola: dalla padella alla brace.
Nella fiaba, il principe si risveglia sulla sabbia, non vede una bella ragazza che canta, ma una fanciulla del tempio lì vicino che lo sveglia e se ne prende cura. Completamente ignaro di cosa sia realmente avvenuto, lui si innamora di lei, ma lei appartiene al suddetto tempio.
Il principe, a questo punto, dopo aver conosciuto la bellissima ragazza muta le dice chiaramente e direttamente “io amo la ragazza del tempio, ma tu sei quella che più le assomiglia.”
Almeno non si può dire che non sia onesto.
Il principe e la sirenetta iniziano un felice rapporto, quando lui viene chiamato a sposarsi, ed è promesso… indovinate a chi? Alla ragazza del tempio. Grande amore, grande matrimonio. Obbliga persino la sirenetta a ballare durante la celebrazione (ricordiamo la sensazione ad ogni passo) e lei non si tira indietro.
- Finale
Tra un finale e l’altro non c’è nulla di più diverso.
Se da un lato troviamo Eric che riconosce Ariel, la quale riacquisisce le gambe con un tranquillo gesto di re Tritone, la sposa e se la porta sulla nave tra applausi e arcobaleni, dall’altro lato si affrontano tematiche ben differenti.
La sirenetta è sul punto di morire, l’alba sta arrivando, le nozze si sono concluse. Ella chiude gli occhi e si abbandona al suo destino, certa di diventare schiuma del mare, quando spuntano dall’acqua le sue sorelle, completamente calve.
Hanno barattato i loro capelli per un pugnale grazie al quale può uccidere il principe, riprendere le sembianze marine e tornare alla propria vita.
Ma lei non vuole macchiarsi di un simile omicidio, e come premio per questa nobile azione, le figlie del vento la porteranno nel cielo, dove la morte non esiste.

- Come interpretare il personaggio di Ariel
Facciamo un piccolo riassunto: la sirenetta è giovanissima, istintiva, frizzante e ingenua, vive enormi gioie, sogni lontanissimi, e un conflitto generazionale col padre vedovo.
Come abbiamo detto, è un’adolescente in piena regola.
I suoi momenti cantati terminano, purtroppo, all’inizio della storia, quando perde la voce.
Alanone ci regala solo una perla, la famosa “Part of your world”, che vedremo approfonditamente più in là, e la sua ripresa.
I due brani richiedono un’ interpretazione diversissima: mentre nel primo ci culliamo letteralmente all’interno delle nostre ossessioni e dei nostri sogni, durante il secondo abbiamo appena visto la chiave della realizzazione di questi ultimi e non abbiamo intenzione di lasciarcela scappare.
Fammi sapere se questo articolo ti è piaciuto!!
A presto, per l’interpretazione dettagliata dei due brani!
Fiaba originale di H.C.Andersen:
Troppo complicato per chi non è pratico di fiabe e di Disney. Considerazioni interessanti, ma che per essere comprese richiedono un background fiabo-disneyano che per ora non posseggo, e la cui acquisizionerichiederebbe qualche settimana di applicazione costante e continua,
Morale: per ora rinuncerò all’interpretazione del sirenetto (ultima mutazione della nostra eroina) nell’ambito delle varie produzioni per le quali era stato richiesta la mia interpretazione. Ma mai dire mai …
Buonasera, ho preso il suo commento come spunto per una precisazione preliminare, all’inizio dell’articolo! Grazie per avermelo fatto notare!
richiedono un background fiabo-disneyano che per ora non posseggo, e la cui acquisizione richiederebbe qualche settimana di applicazione costante e continua.
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